Trama:
Un cane-lupo corre tra i ghiacci dell’Antartide per sfuggire agli inseguitori e trova rifugio presso una base americana. Dopo che i due inseguitori sono morti tragicamente, si scopre che erano norvegesi e si decide di andare nella loro stazione per scoprire il motivo della caccia al cane. Arrivati alla base norvegese, gli americani si trovano di fronte a uno scenario allucinante: la stazione è in rovina e uno degli occupanti si è suicidato. Intanto nella loro base l’animale è messo in una gabbia insieme a altri cani che cominciano a abbaiargli contro. Uno degli uomini vede il cane trasformarsi in una cosa mostruosa. Gli altri accorrono e bruciano la cosa. Poi si scopre una videocassetta che spiega cos’è successo nella stazione norvegese. I norvegesi avevano scoperto un’astronave aliena e scongelato i resti dell’occupante. Da questo momento tra gli americani si insinua il sospetto che la cosa sia entrata nell’organismo di qualcuno. Il primo sospettato è quello che s’è occupato del cane. Uno di loro si trasforma in una cosa mostruosa e è subito incenerito dai compagni, ma il terrore è talmente pregnante che un altro impazzisce e è rinchiuso in una baracca fuori dalla base. I sospetti cadono ora sull’uno, ora sull’altro in un’atmosfera di snervante incertezza. Si decide di fare una prova per scovare la cosa: ognuno dà un po’ del proprio sangue che messo a contatto con qualcosa di caldo verificherà se le cellule sono umane o alterate. Durante la prova uno degli uomini sviene e dal suo ventre esce la cosa che a uno a uno inghiotte anche gli altri. Solo due riescono a sfuggire alla cosa e decidono di fare saltare la base con la dinamite per neutralizzare definitivamente l’entità aliena. Il film termina con i superstiti che attendono la morte per assideramento tra le rovine della base.
Recensione:
Il film è il rifacimento di “La cosa venuta da un altro mondo” (1951) di Howard Hawks, anche se presenta la tipica impronta carpenteriana. La cosa è la risposta negativa e pessimista a E.T. (1982) di Steven Spielberg che esce nello stesso periodo, condannando il lavoro di Carpenter a un triste destino. Con “La cosa” Carpenter si stacca dall’immagine fiabesca e rassicurante dell’alieno di Spielberg, proponendo un’entità che s’insinua nell’organismo umano, alterandolo mostruosamente.
Guardando “La cosa”, si percepisce chiaramente lo stato d’animo del regista e il suo messaggio: un pessimismo cosmico che domina su tutto. La scelta di un luogo sperduto e isolato ai confini del mondo come l’Antartide è la conferma di questa sensazione. Sul set di Carpenter il continente di ghiaccio diventa un’Ultima Thule che non funge da rifugio per l’umanità, ma è il luogo da cui la cosa può diffondersi su tutto il pianeta. E’ il contrario di ciò che il regista giapponese Kinij Fukasaku ha espresso in “Virus: Ultimo rifugio Antartide” (1980), dove l’Antartide diventa l’ultima spiaggia di un’umanità auto-estintasi. Il pessimismo della Cosa, che in qualche modo rispecchia quello del regista per le frustrazioni subite dopo “Fog” (1979), raggiunge il suo culmine estetico nel finale. La scena conclusiva richiama alla mente un mondo di macerie tra cui si aggirano zombi senza meta. Credo che nell’horror non si sia mai raggiunta una così alta vetta di negatività. Gli ultimi fotogrammi del film sembrano il ritratto di due figure anonime che attendono la fine nella vastità ghiacciata della notte.Una nota originale del film è sicuramente il cast; credo che nella storia del cinema sia l’unico film con un cast esclusivamente maschile. Pensate che la critica specializzata ha visto in ciò un sottofondo di omosessualità del regista … Cari compagni, se avete già letto alcune delle mie recensioni precedenti, sapete cosa ne penso della critica specializzata, quindi mi fermo qui.