Trama:
Yeon � una donna triste e frustrata dai continui tradimenti del marito. Dopo un duro confronto con l�uomo, sente parlare di un condannato a morte che ha tentato il suicidio e spacciandosi per una sua ex, va a trovarlo in carcere. L� incontra l�uomo che a causa di una ferita alla gola non pu� parlare, ma che � dispostissimo ad ascoltarla e a mano a mano la situazione si stratifica, fino a che il marito di lei si accorge dell�accaduto e tenta un recupero.
Recensione:
Kim Ki-duk � un regista particolarissimo, questo si sa gi�, quello che non tutti sanno per� � che le sue cose migliori continuano ad essere quelle precedenti alla fama internazionale. Probabilmente la progressiva semplificazione dei contenuti, come anche lo stile di regia a mano a mano pi� rarefatto, hanno sia causato la sua fama che allontanato il regista dalla unicit� per cui i suoi primi film erano stati apprezzati. Si trattava di pellicole che non dovevano nulla alla moda, di opere che non avevano nessuna paura di rappresentare silenzi lunghissimi e situazioni terribili, con originalit� e nessun desiderio di compiacere il pubblico rispetto alle ultime opere, che se anche perfette dal punto di vista stilistico, nulla aggiungono alla diluita rappresentazione di temi cari all�autore. Detto questo e volendo evitare il giochetto di elencare la provenienza di ciascun particolare di questo nuovo film, non ci resta che esplorarne la rappresentazione accantonando momentaneamente le fonti e dimenticando il piacere che ci aveva dato la semplice visione di film come Primavera Estate, Autunno, Inverno...e ancora Primavera e Real Fiction, per tacere del famosissimo Ferro 3 e del meno famoso ma assai particolare Bad Guy.
Yeon � una donna che potrebbe essere l�ideale prosecuzione dell�insicura protagonista di Time, che per� adesso � sposata ad un insensibile fedifrago, e che invece di tentare ancora di piacere a lui sceglie di piacere ad un altro. Fin qua tutto normale anche per un occidentale, la faccenda assume per� connotati pi� complessi a mano a mano che lei si appassiona al gioco di decostruire l�ambiente e ridefinire la situazione, attraverso l�uso della sua arte visiva e la padronanza dello strumento estetico. La cella diviene un mondo altro, proiettiva rappresentazione scenografica di un posto in cui ci si pu� capire senza parlare, e ci si pi� amare in barba ai cancelli e alle telecamere. Il regista stesso ci mostra il suo riflesso, nel vetro del monitor e presta il volto al burattinaio dell�intera faccenda, il direttore del carcere, cos� tanto per citare un p� a caso tra mille altri precedenti.
Lo sdoppiarsi dell�immagine in un perenne contrasto interno/esterno contrapposto a realt�/proiezione rende al meglio il messaggio del regista, in una celebrazione metafilmica del ruolo di demiurgo che si sceglie chi filmando scandisce il tempo dell�azione. Azione di per s� poco incisiva nella misura in cui il reale movimento � interno e viene tutto espresso senza altro strumento che il mutare del volto dei protagonisti. Il finale apparentemente consolatorio in realt� nasconde le tendenze pi� rassicuranti dell�ultimo cinema di Kim Ki-duk, che rinuncia alla confusione ed alla mancanza di prospettiva dei suoi vecchi film, in favore di una normalit� sotto cui nuotano silenziose la rimozione e l�ipocrisia. Il soffio del titolo, usato a pi� riprese come immagine di intimit� tra i due disperati amanti, manca curiosamente nel finale dove viene sostituito da un canto che sa di respirazione forzata dopo una prolungata apnea.
Seppure freddissime, le scenografie appaiono di una bellezza rarefatta ed assai poetica, il gioco di filmare la decostruzione dell�ambiente circostante ha un suo sinistro fascino e la proiezione dei contenuti della sperduta protagonista, ricca di movimento interiore tanto pi� vitale quanto compresso, ha la consistenza di cui sono fatti i sogni. Gli attori sono assolutamente perfetti, e questo curiosamente amplifica la sensazione di freddezza che l�operazione intera richiama alla mente. Il doppiaggio italiano uccide, come spesso in questi casi, la poesia del silenzio/dialogo sussurrato in originale.
Non ci resta che augurarci che il regista, come la sua protagonista che distrugge l�opera perfetta che ha inseguito durante tutta la durata del film, appagato nei suoi tentativi narcisistici di raggiungere lo zenit della regia, torni con la nostra stessa nostalgia al calore ed all�originalit� dei suoi passati lavori, che se non perfetti hanno di certo il dono di essere veri.